Un ciclo di lavori ispirato da una ricerca sul senso del sacro.
Ci sono alcune immagini che si formano nella mente prima di esistere sulla carta. Il ciclo Ierofanie nasce così. Un giorno nella mia mente si è imposta l’immagine di “una donna fiorita”. L’ho lasciata sedimentare. Volevo capire se era solo un capriccio o un’immagine che potesse resistere nel tempo. Trascorsi alcuni mesi ho deciso di darle una forma definita e farne una fotografia. Alla prima serie di “donne fiorite” ho dato il nome di Estasi.
Da lì si è innescata la riflessione intorno alla questione del sacro che ha visto lo sviluppo dell’intero ciclo. Ho attinto all’enorme patrimonio iconografico dell’arte sacra antica e ne è scaturita una piccola costellazione di elementi che combinano il riferimento all’antico con i volti, i corpi e i colori della contemporaneità fino a farne un’ironica struttura pop.
Ierofanie (dal greco antico hierós, “sacro”, e phainein, “mo-strare”) è un ciclo di lavori fotografici che propone una riflessione su ciò che il sacro ha rappresentato per gli uomini prima di diventare patrimonio delle religioni ed essere identificato con il “divino”.
Icone
Nella definizione di icona, con riferimento all’antica tradizione iconografica bizantina di Chiesa ortodossa, si afferma che l’immagine non rappresenta qualcosa di reale, ma un mondo ideale. Una delle regole prospettiche che governa le icone non è quella occidentale della prospettiva lineare ma la prospettiva invertita o quella schiacciata che mostra le figure prive di profondità, immerse in un ambiente sobrio, essenziale e luminoso. In Icone la rappresentazione dei corpi risulta bidimensionale, esse sono la rappresentazione umana del sacro sotto forma di figure maschili; è il momento in cui l’uomo vive lo spazio del sacro. In merito alla loro postura e agli oggetti, l’altro riferimento visivo è l’antico manuale di iconologia (1593) di Cesare Ripa, il più completo repertorio di immagini allegoriche cui attinsero a piene mani generazioni di artisti e di poeti di tutta Europa. Tuttavia così come l’icona non rappresenta il mondo e l’uomo nel suo naturalismo sul quale impera la legge della sopraffazione, così queste figure umanizzate si collocano al bivio come un’umanità che deve decidere se accettare la deificazione o diventare mostro. L’incontro tra i due mondi è espresso anche nella psicologia dei personaggi rappresentati. Essi esprimono lo stato d’animo dell’uomo che guarda ma non vede. Nell’iconografia non è rappresentato soltanto il mondo della gloria di Dio ma anche il mondo dell’esperienza umana piena di patimenti, di peccati, ma tendente a trovare la soluzione di ogni travaglio, a placare le proprie contraddizioni e a purificarsi dalle proprie miserie. Icone indica la strada per la trasformazione dell’uomo e il superamento delle discordie del mondo. Da una parte vediamo una concezione del tutto superficiale che riduce ogni cosa al piano terrestre, dalla parte opposta si fa avanti quel senso mistico del mondo che vede e sente con immediatezza la possibilità di trapassare da un piano all’altro.
Estasi
L’estasi è uno stato di benessere psicofisico in cui il soggetto vive uno stato di pace e quiete. Con la perdita delle pupille e l’eliminazione degli occhi, le figure femminili in Estasi dismettono la propria identità e si dispongono a quell’alterità in cui si accoglie il sacro come qualcosa di ‘altro’. L’ estasi è una fase trascendente e sofisticata di distacco e sottrazione dell’io; in essa il soggetto non si rappresenta più ma diventa pura immanenza. Nella forma simbolica dell’estasi ‘fiorita’ c’è anche la dimensione della conoscenza in relazione al senso e al valore dell’esperienza. L’estasi è uno stato di rapimento. E’ il momento preciso in cui fiorisce lo stupore, quella sensazione entusiastica di pre-conoscenza che trova il suo esaurimento non in una risposta definitiva ma nel sostare, come alle soglie del dubbio, attivamente nella domanda. E’ una condizione di perenne sensibilità sempre vigile e costantemente tesa.
Voto
Se il ‘profano’ è ciò di cui si conosce l’origine, ed è comprensibile a livello logico-discorsivo fino a diventare qualcosa di controllabile e ripetibile, come accade nello sviluppo del pensiero scientifico, il ‘sacro’ invece è ciò che sfugge ad ogni delimitazione e circoscrivibilità. Il sacro è “la manifestazione di qualche cosa di ‘assolutamente altro’ – di una realtà che non appartiene al nostro mondo – in oggetti che fanno parte integrante del nostro mondo ‘naturale’, ‘profano’. (M.Eliade). In Voto gli gnomoni (che ho tratto dall’osservatorio del Jantar Mantar, Jaipur, India), gli altari (ispirati alle piante del Beato Angelico) e le cosmogonie (di ispirazione bizantina), sono “il momento simbolico” del sacro in cui ogni oggetto, abbandonando il rapporto con la realtà, perde la natura di segno e diventa ‘simbolo’. Questo ‘assolutamente Altro’ è quella totalità di Senso che, attraverso le strutture archetipiche, si incentra in immagini arcaiche, originarie, primigenie, costituenti i simboli. Per la mentalità ‘primitiva’, arcaica, qualsiasi cosa può essere una ierofania, ma deve rivelare ed incorporare qualcosa di diverso dal suo manifestarsi fenomenico. In Voto sono presenti gli strumenti della passione (arma Christi) i chiodi, il flagello, la tenaglia, il busto ex voto, la conchiglia, il martello, oggetti di venerazione per i cristiani, raffigurati in icone e dipinti e conservati come reliquie, a volte mostrati nelle rappresentazioni quando non utilizzati direttamente sui penitenti. Acquisendo la dimensione della sacralità essi si distaccano nettamente dal circostante paesaggio degli altri oggetti profani, divenendo portatori di una totalità che però non si dà mai completamente e immediatamente.
I riferimenti
I riferimenti sono stati, per la serie Icone, l’antica tradizione iconografica bizantina della chiesa ortodossa e l’antico manuale di iconologia (1593) di Cesare Ripa. Per Estasi il riferimento è alla vasta produzione iconografica dell’estasi in pittura e scultura, una su tutte L’ estasi di S. Teresa d’Avila del Bernini. In Voto ho tratto gli gnomoni dall’osservatorio del Jantar Mantar, Jaipur, India; gli altari sono invece ispirati alle piante di alcune opere del Beato Angelico; le cosmogonie dalle opere di matrice bizantina; gli strumenti della passione (arma Christi: i chiodi, il flagello, la tenaglia, il busto ex voto, la conchiglia, il martello), sono tratti dagli oggetti di venerazione per i cristiani, raffigurati in icone e dipinti e conservati come reliquie, a volte mostrati nelle rappresentazioni quando non utilizzati direttamente sui penitenti.
Ierofanie (ciclo)
Ierofania (dal greco antico hierós, “sacro”, e phainein, “mostrare”) è un termine proprio della storia delle religioni e dell’antropologia del sacro che designa la “manifestazione del sacro”. Esso denota una realtà del tutto diversa rispetto a quella comunemente intesa e percepita come propria del “nostro mondo”, ossia il profano. Sacro è una parola indoeuropea che noi traduciamo con “separato” e che richiama la potenza che gli uomini hanno avvertito come superiore a loro e hanno pertanto collocato in uno scenario “altro” a cui hanno dato appunto il nome di sacro. Dio è arrivato nel sacro con molto ritardo; infatti solo dopo l’avvento della religione la potenza che l’uomo aveva avvertito come superiore a sé è diventata “il divino”. Questo ci dice che il sacro, per come siamo abituati ad intenderlo oggi, è un prodotto culturale, una variabile storica che varia da contesto a contesto e che il sacro, oggi dominio delle religioni, sta nell’insieme dei valori, delle pratiche e delle convinzioni che l’uomo utilizza per conferire senso e valore all’esperienza, in modo da garantire un ordine e difendersi dal rischio del caos e dall’angoscia del nulla. ‘Sacro’ è una parola ambivalente che vuol dire, al contempo, benedizione e maledizione. Stante la natura ambivalente di questa dimensione, ambivalente è anche il rapporto che l’uomo stabilisce con il sacro: da un lato lo teme come si può temere ciò che si ritiene superiore e che non si è in grado di dominare e, dall’altro, ne è attratto come si è attratti dall’origine da cui un giorno ci si è emancipati.
Il sacro
Il “Sacro”, che traduciamo con “separato”, contiene sempre un riferimento all’“orrendo”, al “tremendo” a una potenza incontrollabile che può sconvolgere l’uomo. E’ ciò che sfugge ad ogni delimitazione e circoscrivibilità e che richiama la potenza che gli uomini hanno avvertito come superiore a loro stessi e hanno pertanto collocato in uno scenario “altro” a cui hanno dato appunto il nome di sacro. Per chiarire ancor meglio il significato e la relazione tra ierofania e sacro, che è poi il cuore della riflessione da cui il mio lavoro si è sviluppato, trovo utile citare questo passo per la sua sintesi e chiarezza: «L’esperienza del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo compiuto dall’uomo per costruire un mondo che abbia un significato. Le ierofanie e i simboli religiosi costituiscono un linguaggio preriflessivo. Trattandosi di un linguaggio specifico, sui generis, esso necessita di un’ ermeneutica propria.» (Mircea Eliade, Discorso pronunciato al Congresso di Storia delle religioni di Boston il 24 giugno 1968). Il sacro è dunque una dimensione perdurante nella condizione umana, può essere rimosso, dimenticato addirittura, ma opera comunque. Coinvolto dall’interesse per tale vasto argomento, la prima immagine che ho elaborato è stata quella di una testa fiorita che è poi diventata l’immagine chiave di uno dei lavori, Estasi. Da lì è cominciata la produzione degli altri due lavori, Icone e Voto, che compongono il ciclo Ierofanie.